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Migrazione a IPv6 in Italia: stato dell’arte e guida al passaggio

Gli indirizzi IPv4 sono finiti da un pezzo, eppure in Italia si stenta a implementare seriamente il nuovo sistema IPv6. L’analisi dello stato dell’arte e istruzioni per una integrazione del protocollo di Marco d’Itri, Network Manager di Seeweb
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Mentre scriviamo sono passati ormai quasi 25 anni dall’introduzione di IPv6, protocollo Internet destinato a sostituire IPv4, di cui non ci sono ormai più indirizzi disponibili.

Tuttavia, in Italia la diffusione della connettività IPv6 fatica molto a decollare, a parte alcune eccezioni.

Durante un webinar organizzato dal MIX di Milano, “6lottino”, volto proprio ad analizzare lo stato dell’arte dell’adozione del protocollo, Marco d’Itri, che in Seeweb si occupa “di rete e altre attività”, ha esposto il suo punto di vista “critico ma costruttivo” sul punto, fornendo anche un metodo pratico per l’implementazione del nuovo sistema.

Facciamo però un piccolo passo indietro su cosa sia IPv6.

IPv6: gli indirizzi IP che prima o poi dovremo adottare

Se un indirizzo stradale identifica dove trovare una persona o un edificio, l’indirizzo IP identifica un dispositivo in Internet, sia esso un computer o, per esempio, una telecamera.

Composto, generalmente, da indirizzo della rete e indirizzo del computer, consente l’indirizzamento dei dati verso di esso permettendo a più dispositivi di comunicare tra loro (connessione end-to-end).

Questi indirizzi però sono ormai esauriti per IPv4: di qui la necessità di estendere il campo con il protocollo IPv6, che dispone di un elevatissimo numero di indirizzi IP.

Un esempio di come differiscono tra loro un indirizzo IPv4 e un indirizzo IPv6:

  • IPv4: 212.25.160.10
  • IPv6: 2001:0db8:4136:e378:8000:63bf:3fff:fdd2
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Il motivo della struttura diversa che si può osservare è dovuta al fatto che IPv4 utilizza indirizzi a 32 bit. IPv6 utilizza, invece, indirizzi a 128 bit.

La transizione verso IPv6? Inevitabile

La transizione verso IPv6 è davvero inevitabile: non possono essere creati nuovi indirizzi IPv4.

Perché il grosso del lavoro orientato a questa transizione devono farlo le reti di accesso, come sostiene Marco d’Itri?

“Chi gestisce una rete di accesso può fare NAT risparmiando IP e quindi può tranquillamente continuare a utilizzare IPv4, cosa che invece non possono i server: questi ultimi hanno bisogno di IP dedicati e qualsiasi servizio esposto al mondo ha ancora bisogno di indirizzi IPv4.

Ci sono già abbastanza server accessibili tramite IPv6: quasi tutti i siti più visitati, esclusi quelli cinesi, usano IPv6 e hanno connettività IPv6 da tempo. Il problema sembra quindi essere solo in Italia. In Paesi come Belgio, Germania, Francia, Grecia e anche in USA, considerando clienti di tutti i tipi – residenziali, d’accesso, enterprise, ecc…- usano IPv6 tra il 45 e il 50 per cento degli utenti. In Italia, lo usa meno del 5% di utenti”.

Nel talk Marco esplora anche i motivi di questa esitazione: le grandi telco italiane non sono particolarmente incoraggiate a usare IPv6 perché hanno IP v4 in abbondanza e preferiscono evitare di investire tempo e denaro in qualcosa di cui non hanno diretto bisogno.

Il quadro cambia per gli operatori più piccoli, molto più svantaggiati da questo punto di vista.

Fare la transizione da IPv4 a IPv6: un percorso gestibile

Esitazioni a parte, fare concretamente un passaggio su IPv6 è piuttosto semplice e più un operatore è piccolo, più sarà facile. Spesso, inoltre, il passaggio non viene neanche percepito.

Quali sono le sequenze essenziali? Fare la transizione richiede di avere una connettività IPv6, cosa che non tutti i carrier però hanno.

Con uno, due transiti, si potrà iniziare ad aggiungere i peering: in poco tempo si otterrà vera connettività IPv6 per la propria rete.

I passaggi successivi consistono poi nel configurare i router, attività già ben documentate in rete, e i name server, operazione piuttosto facile per gli addetti ai lavori, considerando che il DNS è un protocollo estremamente robusto: eventuali errori non potranno creare problemi irrimediabili. Per lo spesso motivo è facile adottare IPv6 per la posta elettronica:  l’unica accortezza, in questo contesto, è avere SPF e/o DKIM allineati visto che la reputazione associata ai domini diventa molto più importante.

Successivamente, si potrà lavorare ai propri sistemi di provisioning e con IPv6 potrebbe anche essere più facile in quanto si avranno a disposizione tanti IPv6 da assegnare staticamente per i propri clienti.

Come gestire questi indirizzi?

Da RIPE normalmente si ottiene una rete /32, ma si può estendere senza problemi a /29: ovviamente, reti più grandi potranno avere più indirizzi. In particolare, è bene tenere presente che ai clienti domestici non va mai assegnata una rete più piccola di una /56: questo creerebbe problemi e li costringerebbe a fare NAT o bridge, ovvero le stesse cose che si facevano con IPv4…

Tutti i passaggi su indicati e relativi a come procedere al passaggio da IPv4 a IPv6 sono stati esposti da Marco d’Itri in occasine del 6lottino con l’obiettivo di fornire una guida pratica e dimostrare l’estrema sostenibilità di tale migrazione. Per accedere ai contenuti e approfondire il punto di vista di Marco IPv6 si può accedere al link dedicato qui mentre per rivedere l’evento qui.

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