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#Humanless: le macchine ci annienteranno?

Un libro sull’impatto dell’intelligenza artificiale nelle nostre vite. Che indica strade possibili per non farci sopraffare dall’egoismo delle macchine. E, magari, per trarne beneficio
Indice dei contenuti
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Massimo Chiriatti

Lui, l’autore, si chiama Massimo Chiriatti, e nel suo libro “#Humanless – L’algoritmo egoista”, si introduce al lettore come uno “che vive e lavora in Italia”.

Nonostante la ritrosia, sappiamo il suo curriculum rilevante: conoscere la sua visione su come l’IA cambierà le nostre vite è davvero un’opportunità nel fiume di contenuti in cui questa è quasi buzzword.

“#Humanless – L’algoritmo egoista”: il titolo dello scritto, con il suo accento sull’egoismo delle macchine, sembra solo all’apparenza corroborare le paure di molti di noi sul futuro e su come le macchine e la loro pervasività nelle nostre vite origineranno deserto occupazionale, povertà, diseguaglianza.
Però, a leggerlo, non è proprio così, anzi.
Come guardare al domani secondo il tecnologo? Se siete curiosi di come andrà ma anche incerti, troverete in questo testo possibili scenari, e anche un certo ottimismo su come potranno andare le cose.

L’egoismo delle macchine

Il libro di Massimo Chiriatti, edito da Hoepli

Le macchine sono egoiste, questo ci dice #Humanless. Perché?

  • non sono più un mezzo ma un soggetto, e pure affidabile
  • non vengono influenzate dalle emozioni
  • sono autonome

L’autonomia, si sa, rende egoisti. Più sei “umano” e rivolto verso l’altro, più farai cose tenendo conto degli altri, lasciandoti influenzare da loro. Emozionandoti.
L’algoritmo no, invece: è determinato e, una volta nato, si modella e si evolve da sé, senza chiedere niente a nessuno. Senza tenere conto di nessuno.
Eppure, come dalle parole di Davide Bennato – sociologo dei media digitali – gli algoritmi non sono neanche delle tecnologie, ma soggetti autonomi, con un ruolo attivo nella società.
Ora, questa loro integrazione nella società è dannosa per l’uomo?

Moderne inquietudini: un algoritmo ci seppellirà?

Il vero problema degli algoritmi è che non sappiamo realmente cosa potranno diventare.
Se dall’evoluzione della scimmia si è originato l’uomo, e se dall’uomo si è originato l’algoritmo, dall’algoritmo cosa ci dobbiamo aspettare? Che cosa genererà?

Un altro problema è che l’algoritmo tende a seguire il modello della retroazione.
Che cos’è la retroazione? In fisica e automazione e fondamenti di elettronica, è la capacità di un sistema dinamico di
basarsi su modelli appresi.
L’algoritmo viene generato dall’uomo, e poi si modella autonomamente sulla base delle esperienze registrate. Non abbiamo davvero contezza di come stia funzionando e perché (Black Box).
Questo aspetto è rischioso: vuol dire che le macchine tendono a seguire gli stimoli più numerosi, e non per forza quelli “migliori”.
Pensiamo al fenomeno fake news: più un argomento registra like, più diventa visibile. A prescindere dalla sua autorevolezza.
Altro tema è: oggi ci preoccupiamo tanto della privacy e di come Google, Facebook o Amazon possano sfruttare i nostri dati. Ma in futuro saranno solo gli algoritmi a scambiare informazioni: e senza interpellarci.

Alla fine sopravviveremo

E’ vero, l’algoritmo è egoista, e pure incontrollabile nella sua evoluzione. Spesso, legge i dati peggiori, solo perché sono di più. Genera maggiori volumi di informazioni, quindi mette più a rischio la privacy; aumenta velocità ed efficienza, ma diminuisce controllo e governance.
Eppure, l’algoritmo è anche “codifica in forma scritta della nostra inimmaginabile creatività”.
Se sfruttiamo bene l’IA, questa farà il nostro bene.
Se accantoniamo gli aspetti negativi (la retroazione, per esempio) e le nostre paure, sappiamo che è utile: ci permette di prevedere, di generare informazioni che non abbiamo.
E quindi, dove sta il trucco?
Il trucco sta nell’usare l’IA come suggeritrice, nel correggerla, senza permettere che prenda decisioni al posto nostro.

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Il lavoro delle macchine può sembrare una minaccia? Secondo Massimo Chiriatti, piuttosto nobilita il lavoro umano.

Infatti, all’aumentare della complessità dei computer, si rendono necessarie nuove competenze per sfruttarli in tutte le loro funzioni.

In questo scenario, chi è destinato a fallire? Le persone che non si formeranno, che non avranno creatività.

Molte imprese falliranno, ma falliranno quelle che non utilizzeranno l’IA. E che non saranno in grado di insegnare alle macchine.
Qui, anche la politica avrà un ruolo essenziale: dovrà essere in grado di sfruttare l’intelligenza artificiale, dovrà reinventare modelli. Non celando possibili fallimenti dietro a un populista “è colpa della tecnologia”.
Il lavoro futuro sarà il risultato delle nuove professioni che riusciremo a creare meno quelle che le macchine distruggeranno.

Per sopravvivere all’economia del futuro dobbiamo essere complementari e non alternativi alle macchine.
E, attenzione, dobbiamo anche essere unici.
Ed ecco come, un libro titolato #Humanless, mette al centro proprio ciò che è agli antipodi della disumanità: la creatività dell’uomo, la sua capacità di reinventarsi, di inseguire la conoscenza.
Per immaginarci, perché no, un futuro – anche vicino – in cui saranno le macchine a imparare dal comportamento umano, e non noi a soccombere.

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