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Hangout su cloud e diritti: nuove certezze, nuove domande

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Il giornalista e tecnologo Massimo Chiriatti su cloud e diritti
Il giornalista e tecnologo Massimo Chiriatti

Si parte da un libro. Gli ospiti sono davvero d’eccezione, e dicono la loro. Aprendo nuovi dibattiti

 

Un incontro virtuale interessante che chiarisce molti dubbi e apre a futuri e intensi dibattiti. Gli interlocutori danno chiavi di lettura, ma lanciano anche nuove sfide. Questo è stato l’hangout di Cloudseed su jus e cloud, su startup e proprietà intellettuale (lo potete vedere sul nostro canale Youtube).

Il primo tema aperto da Leo Sorge, che ha curato con eccellenza tutta la serie di hangout di questa edizione CloudSeed, è quello sul contratto del cloud.

Interviene, per primo, Eugenio Prosperetti, autore del libro da cui prende spunto l’incontro:,”La circolazione dell’opera digitale” (Giappichelli 2012): “Anche in qualità di avvocato mi sono accorto che sul tema mancavano degli approfondimenti giuridici. Il contratto cloud era già riconosciuto nel nostro ordinamento? Cosa pretende chi deposita i suoi dati su un cloud provider? Ci aiuta la legislazione già in essere: il cloud provider possiede e tiene in sicurezza i dati ma non li può elaborare o profilare. Come un garagista che custodisce la mia auto ma non va a vedere cosa ci sia dentro. “.

Anche Stefano Quintarelli,  Parlamentare di Scelta Civica, componente Commissione Trasporti e Comunicazioni, è convinto che molte cose siano già chiarite dalle forme contrattuali esistenti. “Per esempio, come ci dice già la direttiva ecommerce, il gestore interviene solo nel caso in cui ci sia notizia di reato.”

 Guido Scorza, Giurista informatico e docente, approva la linea del deposito, pur manifestando delle perplessità: “La mia perplessità, che certo si risolverà col tempo, è il tema della disponibilità della “cosa”, che il diritto penale ha dovuto distinguere dall'”opera dell’ingegno” . Posso dare in deposito sia una cosa che un oggetto immateriale coperto o meno da proprietà intellettuale. Altra perplessità è il tema dell’accesso: il cloud è una forma di possesso delegato, e l’oggetto è a casa del fornitore di cloud ma è contemporaneamente nella mia disponibilità, e ritengo che su questi punti non tutte le declinazioni del contratto di deposito siano esaustive.”

Prosperetti risponde: “Quando c’è un cloud puro  è irrilevante se ciò che viene depositato è proprio o di terzi, in presenza di ulteriori usi – esempio, social network – invece occorrerebbe contrattualizzare, anche per evitare errori che, soprattutto nel caso in cui la startup cresce, si possono pagare cari.”

L’intervento di Massimo Chiriatti, giornalista e tecnologo, parte da un esempio concreto: “Questo stesso hangout è un servizio a disposizione di tutti e anche di Google; diverso è se voglio creare un documento su Google Drive e non voglio che Google lo veda. Questo ci fa capire come ci siano un’interfaccia “social”, e un backend, il deposito, il cuore del cloud dove l’informazione risiede. E per un utente medio è fuorviante che queste due cose siano sotto gli stessi terms of conditions”

E proprio a proposito di terms of conditions Prosperetti fa notare quanto oggi sia cambiato il loro ruolo: il contratto quasi non viene letto e quando insorgono dei problemi si  preferisce risolvere tramite vie più brevi.

Quando Leo Sorge apre il dibattito sul secondo argomento, quello della proprietà intellettuale delle startup, lo fa partendo sempre dal libro di Prosperetti, per cui questo è “un dibattito necessario, perché nella norma tradizionale sul diritto d’autore non c’è l’opera totalmente digitale.In un’ottica di tutela del business occorre prevedere delle norme, si tratti di app o altro. La proprietà intellettuale, una volta creata, dura nel tempo e il principio è che devo poterla spostare da un device a un altro (interoperabilità).

Scorza: “Nell’universo delle startup, il concetto di proprietà intellettuale è fondamentale: occorre rendere più esplicito possibile il regime di proprietà intellettuale su ciascun oggetto digitale e ridurre al minimo l’attività interpretativa del consulente tecnico d’ufficio”

Quintarelli: “Con gli oggetti fisici era molto facile regolamentare. Dobbiamo garantire la remunerabilità di chi crea l’opera.L’idea di attaccare a un’opera dei dati che ci dicono se è un’opera, se esistono dei diritti e chi sono i titolari è una cosa che si può fare. Attaccare un’etichetta a un file risolverebbe tante ambiguità!”

Chiudiamo con un nuovo spunto, lanciato da Massimo Chiriatti: “Il punto è: esiste un obbligo di legge per l’interoperabilità o  per tutelarsi l’utente deve scegliersi bene il cloud provider e le startup?”

Come tutti i dibattiti questo bell’hangout ha esplorato temi complessi che certo non possono trovare da subito una soluzione definitiva, ma la cui strada è stata già tracciata. Avremo presto modo di riparlarne, anche con voi.

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